Dreams are Alive Tonite: il Boss torna a San Siro

Una delle poche cose certe alla vigilia del tanto atteso ritorno di Bruce Springsteen in Italia era quella di assistere e di essere parte di un concerto straordinario, emozionante, unico, uno di quei concerti impossibili da dimenticare, ai quali il Boss ci ha abituati dal 1985.

E come previsto, quello di domenica sera non è stato soltanto il sesto concerto di Springsteen a San Siro, il suo stadio preferito, ma è stato il grande ritorno nel nostro paese del più grande artista della storia del rock accompagnato dalla più grande band di tutti i tempi, con uno spettacolo di quasi 4 ore (3 ore e 45 minuti per essere pignoli, minuto più minuto meno) davanti al suo pubblico preferito, come poi lui stesso ha urlato quasi a fine concerto (“You are the best audience in the world”).

E che sarebbe stata una esperienza indimenticabile lo si è capito già quando, verso le 17, in un San Siro ancora semi deserto, fatta eccezione per il Pit gremito all’inverosimile nonostante il caldo infernale, il nostro eroe è salito a sorpresa su palco con in mano la sua chitarra per regalare una favolosa versione acustica di Growin’ up (da Gretings from Ashbury Park, album di esordio del 1972), facendo così impazzire di gioia e ripagare la fedeltà di quei matti scatenati di ogni età – compreso ovviamente il sottoscritto – in fila da giorni per conquistare un posto sotto il palco, facendo mangiar le mani a quelli che in quegli stessi istanti erano ancora fuori dallo stadio in attesa di varcare i tornelli.

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La conferma che sarebbe stata una esperienza indimenticabile è infine arrivata puntuale alle ore 20.15 quando sulle note di C’era una volta il West di Morricone, sono comparsi sul palco prima i componenti della E Street Band e poi lui, il Boss, il Re del Rock, facendo letteralmente esplodere uno stadio ormai stracolmo in ogni dove e avvolto da una fantastica coreografia che riproduceva la scritta Dreams are Alive Tonite che ha visto coinvolti tutti i 60 mila spettatori presenti, nessuno escluso.

 

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E così, urlando come un vero condottiero “Ciao Milano! … Andiamo!” eccolo che attacca con Land of Hope and Dreams per passare subito dopo a The Ties That Bind prima canzone del doppio album The River del 1981 da cui prende il nome il Tour, cui seguiranno alte 14 canzoni tratte dallo stesso doppio album, nonostante lo stesso Springsteen avesse dichiarato che l’esecuzione integrale di The River sarebbe stata riservata alle sole date americane del Tour partito lo scorso gennaio.

Ma considerata la sua imprevedibilità e che per i fan italiani vuole sempre il meglio, quale migliore regalo poteva fare se non lanciarsi nell’esecuzione quasi integrale di The River con le coinvolgenti Hungry Heart, Out in The Street e I’m a Rocker che trasformano San Siro in gigantesco coro a cielo aperto. Nel mezzo delle 14 canzoni di The River, arrivano immancabili altri 20 successi per 40 anni di carriera e un totale di 35 canzoni, in un crescendo di emozioni senza sosta che vedono protagonista il Boss, la E Street Band e un pubblico ormai senza alcun controllo che si lascia volentieri trasportare dal suo “condottiero”, che si trasforma in predicatore per introdurre Spirit in the Night: l’effetto è una pelle d’oca che non si stacca più di dosso.

Non mancano gli scherzi e i duetti con l’amico di sempre Stevie Van Zandt come in Two Hearts, gli assoli del sempre più bravo Jake Clemmons, nipote del grande e insostituibile Clarence, quelli di Nils Lofgren alla chitarra e le martellate sulla batteria dello stratosferico metronomo di Max Weinberg.

Le uniche “pause” in cui riprendere il fiato arrivano con The River che vede un San Siro illuminarsi in ogni settore con le luci dei cellulari, Point Blank e I’m on fire. Non mancano nemmeno i pezzi eseguiti su richiesta dei fan delle prime file sempre pronti ad alzare i propri cartelloni preziosamente preparati e custoditi prima del concerto; ecco così Lucky Town per la gioia di quel fan che “rimproverava” al Boss di non averla cantata negli ultimi 20 concerti, e ancora le cover di Lucille di Little Richard e Trapped di Jimmy Cliff. Si passa quindi a Because the night, The Rising e Badlands. Da questo momento in poi è solo una escalation dei più grandi successi, quelli che scatenano cori da far tremare tutto lo stadio: Jungleland, Born in the Usa, Born to Run, Ramrod che trasformano San Siro in vero e proprio rock’n’roll party con il pubblico che balla fino all’ultima fila del terzo anello.

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E ovviamente sul finale arrivano Dancing in The Dark che manda letteralmente in delirio i 60 mila di San Siro e soprattutto le fortunate fan che vengono chiamate sul palco per ballare con Bruce e Jake, e Tenth Avenue Freeze-Out passerella meritata per la E Street Band e momento per ricordare “Big Man” Clarence Clemmons e Danny Federici, le cui immagini vengono proiettate sui mega schermi, per ricordare a tutti, come sei fosse necessario, che loro faranno sempre parte della E Street Band e di questa fantastica avventura iniziata oltre 40 anni fa.

E mentre i fan sotto il palco continuano ad alzare i cartelli con su scritto “Bruce! Don’t stop tonight” nonostante siano già passate oltre 3 ore e mezza dall’inizio del concerto, e bambini continuano a sorridere e a divertirsi forse inconsapevolmente sulle spalle dei loro papà, Bruce attacca con Shout degli Isley Brother per infuocare ancora una volta San Siro, come se davvero non volesse più smettere.

Ultima perla di questa serata indimenticabile ormai davvero al termine è la fantastica Thunder Road eseguita da solo sul palco, dopo avere congedato la E Street Band, per rafforzare ancora di più il rapporto ormai intimo con i suoi fan italiani e farsi perdonare da quelli delusi per non avere assistito a Growin’ up del pomeriggio. Terminata, lui saluta il suo pubblico, il suo popolo ancora incredulo e carico di adrenalina che resterebbe ancora li “incatenato” alla musica del Boss, per altre tre interminabili ore, come un vero e proprio prigioniero del rock’n’roll.

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